La sentenza della Corte di Giustizia Europea con riferimento al diritto d’autore, ha recentemente chiarito alcuni importanti aspetti riguardo le potenziali violazioni del linking : cioè la funzione che consente di rinviare un utente a risorse esterne al sito su cui naviga, e permette di aprire pagine esterne o accedere a nuovi contenuti.
Con una sentenza dell’8 settembre, la Corte di Giustizia Europea ha posto fine alle numerose speculazioni sulla presunta legittimità dell’attività di linking a opere protette che, a cadenza regolare, appaiono nel dibattito sul diritto d’autore.
In molti, infatti, hanno spesso sostenuto la tesi secondo la quale il semplice atto di “linkare” non costituisce un’azione di comunicazione al pubblico e non sarebbe quindi soggetto all’autorizzazione del titolare dei diritti.
La Corte, nello specifico, si è espressa sulla controversia fra GS Media BV e Sonoma Media Netherlands BV, nata dalla pubblicazione sul sito GeenStijl (di proprietà di GS Media) di link che conducevano a foto pubblicate senza autorizzazione della rivista Playboy (posseduta da Sonoma).
La Corte di Giustizia Europea, ha stabilito alcuni principi e ha fissato criteri chiari per la valutazione di eventuali illeciti nell’attività di linking. Perché non ci sia atto di comunicazione al pubblico, devono verificarsi contemporaneamente tre condizioni:
Nella tabella che segue vengono riassunte le possibili casistiche in caso di collegamenti a opere non autorizzate da parte del titolare dei diritti:
La sentenza stimola, ovviamente, alcuni spunti di riflessione sull’attività di tutela del diritto d’autore e di brand protection : una profonda attività di monitoraggio e la conseguente operazione di diffida si confermano essere una base indispensabile per una corretta azione finalizzata alla protezione di diritti e marchi.
L’esperienza che abbiamo maturato ha mostrato che provare lo “scopo di lucro”, tanto quanto determinare l’origine dei file in termini di non libera accessibilità, si rivelano spesso terreni molto scivolosi. L’unico strumento certo che resta per provare la violazione, è infatti, la possibilità di “mettere a conoscenza” dell’illecito tramite diffida.
La maggior parte delle più recenti vicende giudiziarie alle quali DcP ha partecipato e i numerosi casi penali che hanno visto i titolari dei diritti prevalere e ottenere condanne e risarcimenti, erano fondati proprio sulla ”conoscenza dell’illecito” da parte degli amministratori dei siti pirata, ottenuta attraverso un costante lavoro di notice & take down.