Nei giorni scorsi la parlamentare europea Julia Reda ha presentato una proposta di risoluzione del Parlamento per la revisione della Direttiva 2001/29. La proposta arriva in un contesto nel quale anche l’agenda europea di Juncker si è posta tra gli obiettivi la riforma della Direttiva 2001/29 nota come direttiva copyright . Nella lettera inviata al Commissario Oettinger , che sovrintenderà al processo di revisione, Juncker ha indicato la strada da seguire.
Giova tuttavia evidenziare che l’eventuale riforma della direttiva 2001/29 non può prescindere da una più ampia valutazione del quadro normativo che riguarda il mondo digitale. Per esempio, la direttiva 2000/31 sul commercio elettronico e le relative esenzioni in materia di responsabilità degli intermediari dovrebbe far parte dell’intero processo di revisione in sede comunitaria. È chiaro a chiunque che tale direttiva non è più in linea con l’evoluzione tecnologica in quanto concepita quando intermediari, società di telecomunicazioni o più in generale Isp erano realtà nascenti o poco sviluppate. L’esenzione di responsabilità di alcuni intermediari ha generato situazioni spiacevoli quali ad esempio il noto caso della negoziazione dei diritti tra le etichette musicali indipendenti e YouTube, il cui potere contrattuale è stato amplificato anche dalle garanzie attribuite dalla normativa sul commercio elettronico. Non si può pensare di mantenere un regime di esenzioni così ampio a piattaforme o intermediari che sono anche parte integrante dei servizi di distribuzione di contenuti digitali.
Lo sviluppo di un sano mercato digitale dei contenuti passa proprio per un’attenta valutazione degli elementi complessivi in gioco, tra i quali anche una proporzione tra i ricavi generati dagli Ott e quelli ottenuti dai produttori di contenuti che investono costantemente nella ricerca di nuovi talenti. Non dimentichiamoci che con un mercato in declino del 17% nei 18 Stati membri dell’Ue dal 2005 le royalty versate dalle case discografiche agli artisti sono rimaste sostanzialmente immutate (dati Ifpi) Le opportunità per lo sviluppo del mercato ci sono. Nonostante le difficili condizioni economiche si intravedono segnali positivi. In Italia, secondo i dati certificati da Deloitte , l’anno appena trascorso si è chiuso con un incremento del 4% e un fatturato di 122 milioni di euro al sell in. Nel 2013 il mercato era tornato a crescere dopo undici anni consecutivi di calo.Complessivamente il segmento digitale, sul dato annuale, rappresenta il 38% del mercato contro il 32% del 2013. La crescita è stata trainata soprattutto dai servizi streaming come TIMmusic, Google Play, Spotify, Deezer, YouTube e Vevo che complessivamente sono saliti di oltre l’ottanta per cento. Nello specifico, i servizi sostenuti da pubblicità sono cresciuti dell’84% mentre quelli in abbonamento del 82%. Oggi lo streaming rappresenta il 57% del digitale contro il 43% del download, sceso nel 2014 del 15%. Nel 2013 lo streaming rappresentava il 12% del totale mercato, oggi il 22%.
Da rilevare il rallentamento del calo del supporto fisico che rappresenta comunque il 62% del mercato, e in questo contesto va segnalata inoltre la costante crescita del vinile, cresciuto dell’ 84% anche se rappresenta sempre un fenomeno di nicchia con il 3% del mercato. Questo dimostra ancora una volta che non è il quadro normativo ad essere “out-of-date” come afferma Julia Reda ma che in alcuni settori il mercato non ha ancora trovato il modello di business adeguato. È qui che bisogna lavorare, non imponendo soluzioni normative confuse o in contrasto con i trattati internazionali, ma favorendo iniziative sul piano commerciale.